Ant-Man and The Wasp: Quantumania, un imperfetto ma follemente creativo nuovo film dell’MCU: la nostra recensione

 

Nella giornata di domani uscirà nei cinema italiani Ant-Man and The Wasp: Quantumania, il terzo capitolo sulle avventure di Scott Lang (Paul Rudd) e di Hope van Dyne (Evangeline Lilly) che inaugurerà ufficialmente la Fase 5 dell’Universo Cinematografico Marvel.

Grazie alla Disney, abbiamo avuto l’opportunità di visionare in anteprima il film, di cui vi proponiamo la nostra recensione rigorosamente senza spoiler di alcun tipo.

Ant-Man and The Wasp: Quantumania è a nostro avviso uno dei prodotti più psichedelici e bizzarri dei Marvel Studios, seppur non esente da difetti. Il film di Peyton Reed non si limita a concludere la trilogia di Ant-Man omaggiando la componente da heist movie del primo capitolo e portando avanti il tema della famiglia, ma si fa carico della grossa responsabilità di iniziare la Fase 5 delineando la direzione che l’MCU seguirà nei prossimi tre anni.

Un elemento particolarmente degno di nota è rappresentato dai numerosi parallelismi tra Ant-Man and The Wasp: Quantumania e la saga di Star Wars. Occorre menzionare, da questo punto di vista, l’eccellente lavoro svolto dal dipartimento addetto al trucco e parrucco e dal reparto costumi sulle creature che popolano il Regno Quantico, molte delle quali sembrano provenire proprio dal franchise della Lucasfilm.

Il Regno Quantico diventa quasi un personaggio a sé stante e finalmente viene mostrato quanto questa dimensione subatomica sia pullulante di vita e di scenari visivamente mozzafiato dove le leggi fisiche funzionano in modo diverso rispetto alla nostra realtà ma anche di numerosi e inaspettati pericoli.

L’utilizzo della rivoluzionaria tecnologia Stagecraft, sempre più presente nei progetti della Disney (basti pensare a The Mandalorian e Percy Jackson) conferisce autenticità ad ogni scena ambientata nel Regno Quantico, immergendo i protagonisti in ambienti suggestivi ed evocativi che trasmettono una sensazione di pseudo-realismo maggiore di qualsiasi altro film dei Marvel Studios. Per questo motivo consigliamo vivamente la visione del film in 3D o nel formato visivo migliore possibile agli spettatori più coraggiosi per godere appieno delle stranezze del Regno Quantico.

Certo, non mancano i difetti legati all’aspetto visivo (molti shot sono palesemente finti o eccessivamente digitali, mentre la CGI di alcune scene è abbozzata e poco definita), e tali difetti sono accentuati dall’assenza di una vera e propria personalità registica al pari di altri registi come James Gunn o Sam Raimi, e persino Taika Waititi. Il regista Peyton Reed – che ha diretto il secondo e l’ottavo episodio della seconda stagione di The Mandalorian, nonché i primi due film su Ant-Man – è stato comunque in grado di portare la sua esperienza nella galassia di Star Wars tanto nelle atmosfere quanto nella creazione delle ambientazioni e delle scene di guerra tra i Combattenti per la Libertà e l’impero di Kang il Conquistatore, ma continua a non brillare in quanto a creatività o ad ingegno. I movimenti di camera, nonché la scelta delle inquadrature, sembrano poco ispirati e piuttosto banali.

Il vero valore aggiunto della pellicola, tuttavia, è l’interpretazione di Jonathan Majors nel ruolo di Kang il Conquistatore. Anche se il suo background è a malapena accennato, Kang dimostra sin dalla sua prima apparizione sullo schermo di essere un antagonista dalla fortissima presenza scenica che, contrariamente ad altri villain introdotti nel corso della Fase 4, mette al primo posto il suo obiettivo più grande senza cercare compromessi. A nostro avviso, inoltre, la controparte cinematografica del personaggio ha molto più potenziale della sua versione fumettistica, spesso vittima di retcon e incongruenze narrative da parte degli autori di fumetti che sfortunatamente hanno sminuito l’importanza di Kang nella mitologia della Casa delle Idee.

Kang

La colonna sonora di Christophe Beck, qui alla sua quinta collaborazione con i Marvel Studios dopo Ant-Man (2015), Ant-Man and The Wasp (2018), WandaVision (2021) e Hawkeye (2022), si sposa incredibilmente bene con le sequenze d’azione e cattura alla perfezione le atmosfere sci-fi del film. Stavolta, peraltro, il compositore ha optato per una commistione della colonna sonora dei primi due film sul personaggio riarrangiandole in chiave epica, evitando in questo modo di cadere nella trappola della discontinuità sonora che caratterizza buona parte dei progetti dell’MCU.

La durata di 125 minuti, ossia 2 ore e 5 minuti, conferisce al film un ritmo assolutamente scorrevole e calzante dando il giusto spazio alle scene più emotive – in particolare quelle con Kang e Janet van Dyne e quelle con Scott Lang e Cassie – senza proporre momenti eccessivamente lenti come successo, ad esempio, nel secondo capitolo. Allo stesso tempo, tuttavia, gran parte dei comprimari e personaggi di supporto non ha abbastanza screentime e si limita ad essere funzionali alla storia, senza avere un proprio arco narrativo.

Inoltre, la gestione di alcuni personaggi (non anticipiamo quali per evitare di rovinarvi la visione) potrebbe far storcere il naso a qualcuno per via del tono troppo comico e sopra le righe.

In conclusione, Ant-Man and The Wasp: Quantumania è un film decisamente più riuscito rispetto al suo predecessore che, oltre ad essere visivamente spettacolare e una ventata d’aria fresca per il franchise di Ant-Man, sarà centrale per il futuro del Marvel Cinematic Universe.

Ant-Man and The Wasp: Quantumania